Cibo per i pesci
Una volta, qualcuno chiese al compositore Gioacchino Rossini di raccontare l’episodio più commovente della sua vita. Ora, Gioacchino Rossini, soprannominato il Mozart italiano, è stato l’inventore di uno stile così particolare da essere diventato un marchio, il crescendo rossiniano. Per questo da lui tutti si aspettavano un racconto romantico, all’altezza della potenza della sua musica. Magari la storia di una donna che lo aveva lasciato, la morte di un collega, il furto di un violino prezioso. Invece pare che lui abbia risposto: “Ricordo una volta, quando mi cadde un tacchino ripieno di tartufi neri nel lago”.
Le cronache narrano che Rossini amasse la cucina al pari della musica e che quello fosse il suo piatto preferito. Ma l’immagine che trovo davvero esilarante è quella di Rossini, famoso, ricchissimo, anfitrione di uno dei migliori salotti di Parigi, che contempla il suo succulento piatto, mentre la barca si inclina e lo rovescia nel lago, per essere divorato dai pesci.
Parli proprio tu?
Una storia molto nota ai rockettari di tutto il mondo è quella di Ozzy Osbourne che stacca con un morso la testa ad un pipistrello durante un concerto. L’episodio ha certamente contribuito ad accrescere la fama di Ozzy Osbourne come cattivo del rock, ma per molti anni si è dibattuto prima sull’autenticità dell’accaduto, poi se quel pipistrello fosse stato vivo o morto, infine se non si fosse trattato di una scena preparata.
Infatti il suo palco era spesso popolato di repliche in gomma di animali dall’aspetto repellente, specialmente serpenti e scarafaggi. Invece quel pipistrello, lanciato sul palco da un fan, era vero, morto ed in stato di putrefazione. Pochi anni fa lo stesso Ozzy ha confessato di essere stato invece convinto che si trattasse di un oggetto di scena, almeno finché non lo addentò. Alla fine del concerto Ozzy fu portato con urgenza in ospedale per i dovuti accertamenti, ma, ricovero a parte, ancora oggi questa storia fa parte del bagaglio del rock. In un video ho visto uno dei suoi figli, sgridato per qualche capriccio adolescenziale, rispondergli a tono “Ma scusa, parli proprio tu che hai staccato la testa ad un pipistrello davanti a tutti?”.
Siamo tutti d’accordo
Le storie di vita privata dei musicisti sono le mie preferite. I momenti personali, il racconto di come sono nate alcune canzoni e sopratutto quando sono nate. E il modo di rappresentare al meglio queste cose sono i documentari sulla musica.
Nei giorni scorsi ne è uscito uno nuovo su Bob Dylan, diretto da Martin Scorsese. Ancora non l’ho visto, ma posso già pregustarne il contenuto. Infatti ogni regista fa una vera e propria dichiarazione d’amore ai musicisti di cui ne dirige la video-biografia. E’come se il linguaggio del cinema trascorresse la luna di miele insieme al linguaggio della musica.
Chi ha girato quello su Amy Winehouse, sobrio e dai toni pacati a dispetto del sensazionalismo che ha sempre caratterizzato la percezione della vita pubblica della cantante, non poteva non esserne innamorato. Così quello sui vent’anni di carriera dei Pearl Jam, che ha quasi il tono di un’onorificenza ad una delle band più influenti della scena mondiale. O quello splendido su Nina Simone che racconta il suo percorso di artista, il personaggio politicamente impegnato, e gli aspetti più delicati della sua vita personale. I documentari sui musicisti mettono d’accordo tutti, sia chi è un grande fan e sia chi non ne ha mai sentito neanche una canzone. Ultimamente ne ho visto uno molto interessante.
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Una promessa mantenuta
Vi dice qualcosa il nome Anvil? Forse no, ma sono un gruppo canadese formatosi alla fine degli anni settanta che ha ispirato band come Metallica, Slayer e Gun’s Roses. Immaginate James Hetfield che da ragazzino fa le cover degli Anvil, o Slash che impara a suonare consumando una cassetta, provando e riprovando i primi riff delle loro canzoni.
Gli esordi della band erano molto promettenti: tutto lasciava presagire un grande successo, dischi nelle prime posizioni delle classifiche, un tour mondiale con migliaia di spettatori ad ogni data. Invece, dopo il successo iniziale, per una serie di disavventure legate alla produzione, finiscono nella programmazione di piccoli club, a suonare per pochi dollari davanti a pochissimi spettatori.
Oggi uno di loro lavora per una mensa scolastica. Chissà cosa si prova a passare dallo stare sul palco a petto nudo con una Flying V davanti ad una folla urlante, a servire brodo di pollo e polpette asciutte a bambini che ti prendono in giro per i capelli lunghi. La loro tour manager è italiana, bresciana, e durante il documentario si lascia andare ad un linguaggio particolarmente colorito. Potrebbe sembrare la sceneggiatura di una commedia, ma è il documentario più autentico che io abbia mai visto su delle rockstar, o almeno, su quello che ne è rimasto. Nonostante tutto, gli Anvil insistono, continuano a scrivere e incidere album. Da ragazzi si sono fatti una promessa: vada come vada, suoneremo sempre insieme.
Alcune scene sono poco incoraggianti: ad esempio, in qualche occasione si sfiora una rissa in un locale minuscolo per venti dollari. Altre mi hanno lasciato interdetto, perché a questi episodi di quotidianità quasi dozzinale, si alternano immagini di repertorio degli anni ’80 di stadi pieni e pubblico in tripudio.
E poi? Poi rinascono, ma non voglio svelare troppo. È un documentario sul fallimento e sulla perseveranza. Ma sopratutto, come tutti i documentari sulla musica, è un omaggio all’amore e alla passione. Banalmente, credo voglia insegnare che più si è umani, più la musica verrà fuori divina.
Dario Benedetto – Puoi visitare il mio sito qui: dariobenedetto.com – il sito da leggere a tutto volume