Da un po’ di tempo, tra mille altre cose, faccio un lavoro decisamente particolare: il consulente emozionale per le band. Suona figo, lo so. Ti fa pensare ad un tizio con l’aria da intellettuale, ma con una fender a tracolla: niente di più lontano dalla verità! Ma forse è meglio fare un passo indietro.
La cosa più importante
Immagina di essere sposato da qualche anno, diciamo sei, sette? Come spesso capita, le cose non vanno male ma neanche benissimo, qualche meccanismo perde colpi, la comunicazione diventa tiepida, ci sono cose che danno fastidio, ma per vari motivi non vengono affrontate. Questo, prima o poi, genera una crisi. Quando te ne rendi inesorabilmente conto, convinci il tuo partner ad andare di comune accordo a fare terapia di coppia. La prassi è sempre la stessa: vi accomodate su delle poltrone comode ma non troppo, fissate obiettivi e vi impegnate a risolvere i non detti. Tutto questo per salvare il vostro matrimonio, la cosa più importante per voi.
Suonare insieme è come essere sposati
Sto per raccontarvi fatti realmente accaduti e molto probabilmente nella storia riconoscerete qualche vostro amico, o voi stessi. Naturalmente, per difendere la privacy dei miei clienti, non farò i nomi anche se in realtà, l’imbarazzo di dire che vai in terapia è una cosa tutta italiana: riteniamo più disonorevole confessare che vogliamo stare meglio mentalmente, che di stomaco.
La maggior parte dei musicisti ventenni di oggi è molto preparata a livello musicale. I ragazzi hanno una grande padronanza dello strumento e la mente molto lucida su come funziona il mercato musicale. Hanno tutte le informazioni che servono a portata di clic, o di scroll. Sono molto agguerriti, intelligenti, forti e capaci. E allora perché intervenire? Perché suonare in una band è come essere sposati con 3 o 4 persone: se rimandi troppo la soluzione di alcuni problemi, il matrimonio comincia a scricchiolare.
Fàmose ‘na risata
Si sa che bastano sette secondi per fare una buona (o cattiva) prima impressione su una persona appena conosciuta. Io per fortuna ho un po’ più di tempo, ma i primi minuti sono fondamentali perché il mio intervento funzioni davvero. Sono comunque un adulto, estraneo, troppo alto e per giunta pelato che li terrà impegnati per qualche ora a fare cose apparentemente poco rock e sicuramente non social. Potrò iniziare solo dopo che avrò la certezza di aver infranto ogni pregiudizio, e per questo è prioritario farli ridere. Strappargli un sorriso non è sufficiente: finché non vedo i denti di tutti, non comincio.
Quindi mi presento infilando nel discorso concetti musicali a caso: stamattina ho rotto un bicchiere che sembrava un Si bemolle, oppure oggi mi sento un charleston in in 7/8, o magari una volta ho preso uno schiaffo che sembrava uno slap di Flea. Se stai pensando che queste battute non fanno ridere, in effetti non sempre riscuotono una standing ovation, ma la cosa è calcolata. In effetti il modo migliore per fare ridere i ventenni è lo stesso per fargli fare qualsiasi altra cosa: vietandoglielo. Quindi formo delle coppie in cui uno non deve ridere, mentre l’altro gli balla davanti con una musica buffa a volume stratosferico. Infallibile. Ogni volta che faccio fare quest’esercizio, i ragazzi protestano molto più quando finisce che quando comincia.
I talenti nascosti
Dopo questo gioco delle coppie i ragazzi sono tutti più rilassati perché si sono tolti la maschera, ed è come aver scoperchiato un pozzo: finalmente possiamo tirare fuori tutto quello che c’è dentro, e solitamente sono cose belle. Da questo momento in poi, ognuno può lavorare sulla consapevolezza di sé e del resto della band, e lo facciamo con delle semplici domande. Come mi vedo io? Come mi vedono gli altri? Cosa faccio io per la band? Cosa mi aspetto dai miei compagni? Sono domande che fanno bene a tutti.
Poi chiedo a ciascuno quale sia un suo talento nascosto, una cosa che sente di saper fare in maniera speciale, meglio se particolarmente stupida, per esempio far scrocchiare la schiena. Molto spesso vengono fuori cose davvero straordinarie. Una volta una ragazza ha risposto: il mio talento è infastidire le persone senza motivo, e il tono della sua voce mentre lo diceva, confermava la dichiarazione al di là di ogni ragionevole dubbio. In effetti, spesso i nostri talenti nascosti condizionano il nostro successo, nella musica e nella vita, più delle abilità certificate da un pezzo di carta.
Storie di vita
Verso la metà dell’incontro cominciamo a parlare seriamente di musica, tecnica e performance. Ora che siamo tutti più sereni, guardiamo attentamente il video di qualche esibizione dal vivo o la registrazione di qualche prova per comprendere i punti di forza e le aree di miglioramento, di ciascun musicista e della band. È un buon metodo per gratificarsi dei progressi fatti, o per correggere un’eventuale brutta piega presa nel tempo.
Poi gli chiedo quale nome abbiano dato al proprio strumento. Lo faccio a bruciapelo, quasi come il sergente Hartman di Full Metal Jacket: Che nome hai dato al tuo fucile, soldato Palla di Lardo? I più spiritosi mi rispondono al volo cose come chitarra oppure synth, a volte mi dicono che è una cosa stupida, o una bella idea. Altre volte invece rivelano nomi e storie piene di vita, come il primo insegnante o l’amico che non c’è più. Spesso nascono dibattiti divertenti tipo: che nome dare ad una scheda audio? oppure: il basso avrà un nome da donna o da uomo?
Sono solo una band
Alla fine del laboratorio, facciamo il mio esercizio preferito: la dichiarazione d’amore. È il momento nel quale i ragazzi escono completamente allo scoperto, abbandonando la comfort zone per fare una cosa che richiede un immenso coraggio: parlare a cuore aperto dei sentimenti verso i compagni, la band e la musica in generale. Ecco che, dopo il teatro, la spavalderia, la voglia di divertirsi, come un meteorite arriva la verità. Parlano del perché suonano e ascoltandosi l’un l’altro comprendono che, a partire dal loro incontro, nella vita niente è casuale: anche loro, forse senza sapere il vero motivo, in qualche modo si sono scelti.
Raccontano storie incredibili, si commuovono ascoltandosi a vicenda, mi regalano autentiche perle. L’ultima volta un batterista mi ha detto: faccio musica adesso perché voglio avere una pensione emotiva quando avrò la tua età. Credo fosse il fratello di quella col talento di infastidire. Mi fanno domande, mi chiedono consigli, ed io ricambio molto volentieri la loro fiducia, rispondendogli senza risparmiarmi. La verità è che sono solo una band, ma ogni volta che abbassiamo il volume, scopro che questi ragazzi hanno tanto da insegnare, anche a quelli della mia età.
Dario Benedetto – Puoi visitare il mio sito qui:
dariobenedetto.com – il sito da leggere a tutto volume
Che sensibilità straordinaria, Dario! Complimenti!