andrea corsellini nell'intervista per audiogrill

Il mix nel live! – Intervista ad Andrea Corsellini

Intervista ad Andrea Corsellini (fonico FOH di Vasco Rossi, Eros Ramazzotti, Tiziano Ferro, Giorgia…) realizzata per Audiogrill a pochi giorni dalla masterclass sul Mix nel Live! che si terrà a Lecce il prossimo 14 Marzo.

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D: Ciao Andrea. Innanzitutto grazie per la tua disponibilità alla nostra intervista di Domenica mattina! Tra poco ti metterai al lavoro con Vasco Rossi… cosa significa essere il fonico dell’evento destinato ad entrare nella storia della musica dal vivo? La capienza di Modena Park che ospiterà il concerto dell’1 luglio sarà di 220 mila persone!

R: Modena Park è un evento che ci sta prendendo visceralmente, in toto. I lavori sono cominciati già alla fine dello scorso tour, dopo le quattro date di Luglio all’Olimpico. Così da settembre, io e Diego Spagnoli, il referente audio di Vasco, ci siamo messi al lavoro per trovare le soluzioni migliori. Quando sei lontano dall’evento succede una cosa ogni 15 giorni, adesso siamo a Marzo e succede qualcosa ogni tre minuti! La responsabilità che ci siamo presi è enorme, non abbiamo la possibilità di replicare, è one shot, cioè deve essere tutto perfetto alla prima, dobbiamo cercare di risolvere tutti i problemi in sede di prove ed alla gente dobbiamo dare uno spettacolo memorabile.

L’impegno a livello di impiego di materiali è enorme, una cosa mai vista prima. Ad esempio, parlando di PA, ci sono qualcosa come 600 cabinet sparsi per il palco [ride]… Quindi comincia ad essere una cosa molto impegnativa alla quale ci si prepara cercando di essere lucidi e soprattutto consapevoli di avere la grande responsabilità di garantire alle 220 mila persone che verranno in questo enorme parco di Modena uno spettacolo degno dell’aspettativa che si è creata.

D: A parte questa tua prossima “fatica”, tutti i tour ai quali stai lavorando ormai da tempo sono davvero “impegnativi”!… quali sono gli altri artisti con cui hai collaborato recentemente?

R: Sono già due tour che lavoro con Eros Ramazzotti. E’ una persona splendida, un musicista molto esigente che spacca i maroni perché ha molta cura dei particolari, però questa meticolosità è anche la mia per cui con Eros è un bell’andare. Ha sempre avuto degli ottimi musicisti ed un grande direttore musicale, Luca Scarpa. Eros ti permette di lavorare e fare esperienza all’estero. In Italia lo fanno solo lui e Laura Pausini. Ha un seguito di fedelissimi nei paesi del Sud America per via del doppio repertorio Italiano-Spagnolo, ma anche negli Stati Uniti e in Australia. Questo comporta interfacciarsi con delle realtà al di là dell’Oceano che solitamente lavorano con le produzioni di artisti che noi chiamiamo quelli veri tipo Beyoncé e Robbie Williams. Questo ti permette di acquisire metodologie di lavoro che sono un valore aggiunto per quando torni in Italia.

Ho seguito Tiziano Ferro nel 2009 e 2012, nei tour che l’hanno reso davvero famoso. In quell’occasione ho avuto la fortuna di conoscere Michele Canova, che produce la maggior parte delle produzioni discografiche che vendono in Italia. Con Michele c’è un grandissimo feeling perché oltre ad essere un produttore è anche un fonico, ed usare lo stesso linguaggio significa lavorare in discesa.

Ho lavorato con Gianna Nannini, splendida, rockettara, per me è Vasco donna! Molto genuina, un’artista di pancia, di un livello musicale essenziale ma comunque altissimo, con Davide Tagliapietra bravissimo direttore musicale.

Con Ramazzotti ho lavorato anche con Claudio Guidetti, un altro di quei mostri sacri che scrivono, interpretano e producono brani pazzeschi come Più bella cosa. Queste collaborazioni sono una grande palestra per imparare. In realtà il fonico di sala, per quanto bravo o blasonato sia, svolge un lavoro al servizio degli artisti. Monforte ci definisce dei  maggiordomi evoluti [ride] ed è la verità.

D: La tua grande esperienza fa di te un capitano di lungo corso degli eventi live, pronto a comandare qualsiasi nave in qualsiasi mare! Ti sei mai trovato in situazioni particolarmente difficili da gestire? C’è stata una volta in cui hai sperimentato soluzioni tecniche -per così dire- non convenzionali?

R: Io sono un tipo a cui piace sperimentare, ma mai durante i concerti. Sperimento prima, in prova, per poi attuare dal vivo il risultato della sperimentazione. In realtà le situazioni davvero problematiche possono verificarsi esclusivamente nei concerti all’aperto, perché c’è sempre l’incognita atmosferica. Quando invece lavori al chiuso non esistono elementi che possono turbare la struttura del palco, la posizione dell’impianto, ecc.

Ad esempio ricordo un concerto con i Pooh nel 1997 con un vento a 110 km orari, in circostanze al limite della sicurezza! Quando vai fuori sei sempre a rischio, e l’esperienza insegna che tu puoi essere il miglior “capitano di lungo corso”, ma se la natura sbadiglia, neanche starnutisce … [ride] non c’è nulla da fare! Sfido chiunque a tirar fuori un concerto con un vento contrario di 60-70 km all’ora o con un cluster che oscilla di un metro. Sappiamo che per mantenere la fase, l’impianto dev’essere fermo o al massimo oscillare di 30-40 cm, con un’oscillazione di un metro non puoi fare assolutamente nulla, chiudi gli occhi e speri che finisca presto!

D: Il tuo equipaggio è composto da molti professionisti specializzati nella gestione dei vari aspetti dello show. Quanto è rigida la divisione dei compiti? Quali sono i punti di contatto e condivisione fondamentali per la buona riuscita dell’evento?

R: Dagli anni ’90 in avanti, con l’avvento dei network dei grossi marchi di impianti di amplificazione tipo L-Acoustics etc., è nata l’esigenza di specializzarsi. Prima il fonico di sala equalizzava l’impianto, lo tarava, lo metteva in fase, poi faceva i suoni e si faceva il concerto, ma erano impianti point-source, di vecchia generazione. Da quando la tecnologia line-array ha preso piede, questa cosa non è più possibile, se non per pochi. La messa in posizione di un impianto, la gradazione, l’equalizzazione, la fase, la fase dei subwoofer, sono una cosa a sé stante che non può più essere integrata con il lavoro del fonico di sala.

Per cui sono venute fuori una serie di nuove figure che quando ho cominciato io non esistevano, come il system engineer, il PA man, i ragazzi che montano l’impianto ecc. Oggi c’è una grande specializzazione e le squadre sono molto sezionate. In questo senso io tendo a non essere un dittatore, cioè non dico mai “fammi l’impianto così, perché lo esigo così”. Per me è importante fare esprimere chi lavora con me, perché dalle persone bisogna cercare di tirare fuori il massimo ed il massimo lo tiri fuori dando loro la possibilità di lavorare come credono sia giusto. Per cui io lascio sempre carta bianca e, pur riferendo sempre a me, non gli sto col fiato sul collo. 90 volte su cento mi va bene e quando così non è, gli dico dove correggere ma sempre con grandissimo rispetto.

D: Oggi sei uno dei live engineer in assoluto più apprezzati in Europa. Il tuo curriculum vanta un bagaglio di esperienze di primissimo livello nel mondo della fonia live internazionale. Come nasce la tua passione per questo lavoro e – più in generale – per la musica? È vero che è cominciata dall’altra parte, cioè sul palco come chitarrista metal?

R: Sì, ho cominciato suonando la chitarra in vari gruppi hard rock della scena fiorentina del 1984-85. In quel periodo c’erano milioni di locali, milioni di festival perché c’erano molte meno restrizioni burocratiche e questo dava tanta possibilità di suonare a tante persone. Quindi ho suonato per tanto tempo e poi… ho scoperto che c’era tanta gente più brava di me… [ride] e che mi piaceva fare anche altre cose e così sono passato dall’altra parte del multicord come dicono gli inglesi. In effetti quello che facevo dall’altra parte del multicord mi dava più soddisfazioni e mi stimolava molto di più.

Inoltre lavorare in festival metallari di mezza Italia con impianti diversi, mixer diversi ogni sera è stata una palestra micidiale perché mi ha permesso di sperimentare, ma anche di sbagliare e anche “rovinare” diversi concerti in tempi non sospetti! Se oggi uno parte da zero e fa ad esempio Tiziano Ferro, ci sono molte probabilità che qualche cosa vada storto, e se ti va storto qualcosa mentre sei il fonico di Tiziano Ferro, o di Giorgia, ti bruci!

Tutta questa formazione rock, hard, mi è entrata dentro come un imprinting, come i pulcini che quando nascono vedono la mamma. Questo ha fatto sì che quando ho cominciato con Vasco, cosa che è avvenuta in maniera molto repentina, io riuscissi bene da subito. Certo, questo non vuol dire che un fonico che ha l’impronta rock, fa bene solo il rock! Il dovere del fonico è quello di inserirsi nella realtà musicale ed innamorarsi artisticamente dell’artista con cui lavora, diventarne il primo fan.

Quando ho cominciato con Giorgia non conoscevo bene il repertorio, ma la mia volontà di fare al meglio il tour era talmente forte, che mi sono andato a sentire tutti i dischi che lei aveva fatto per entrarci in sintonia molto velocemente. Giorgia una volta, presentandomi, disse: il fonico è il musicista aggiunto della band. Credo sia una delle definizioni più azzeccate che abbia mai sentito. Se poi il fonico è anche un ex- musicista, naturalmente ha una sensibilità diversa che può diventare un valore aggiunto, ad esempio nella relazione con il direttore musicale, con il quale c’è un po’ più di sintonia. In sintesi posso dire che il mio aver cominciato come musicista quando ero ragazzino, mi ha dato una mano dopo.

D: Al di là delle tue esperienze da musicista -alle quali forse devi la tua riconosciuta sensibilità artistica- quali sono stati i momenti fondamentali del tuo percorso lavorativo come tecnico? A quali passaggi senti legata maggiormente la tua crescita professionale?

R: Un momento molto importante è stato quando, grazie a Mario Manzani, un chitarrista ed autore molto bravo di Firenze, ho conosciuto Giancarlo Bigazzi. Questo mi ha fatto entrare nel circuito professionale italiano, perché in Italia non si vive di rock n’ roll ma di pop, e Giancarlo in quel tempo era il più grande produttore pop in Italia. Diventai il responsabile tecnico del suo studio di registrazione privato, dove facevamo tutte le pre-produzioni con artisti come Tozzi, Raf, Masini… dischi che hanno venduto milioni di copie! Lì sono entrato nel circuito mainstream, nel punto in cui il cerchio musicale si chiudeva: gli artisti cantavano, si registravano dischi, si vendevano, si incassavano tanti soldi, si andava in tournée e si ricominciava a lavorare.

L’altro, ovviamente, è stato quando ho cominciato con Vasco Rossi. Qui devo ringraziare Diego Spagnoli: grazie ad un’esperienza fatta insieme alle olimpiadi invernali di Torino del 2006 pensò che quando Vasco avesse avuto il bisogno di cambiare il fonico io sarei stato la persona più indicata. Sono stati Diego e naturalmente Guido Elmi a portarmici dentro. In quel momento particolare della storia di Vasco il cambio venne fatto in modo repentino per cui mi trovai, dal fare le feste di piazza con Tozzi e Masini, catapultato dopo due giorni allo Stadio delle Alpi con 75 mila persone inferocite che aspettavano Vasco. In tre ore la sera prima dovetti mettere a posto il mixer, fare il sound-check etc.. Fu una bella sfida. La vinsi perché avevo fatto tanta esperienza prima. È vero che bisogna saper salir sul treno quando passa l’occasione, ma se non sei preparato scendi alla prima fermata.

D: Prima della tua affermazione come fonico live, hai avuto esperienze significative anche in studio. Quali sono gli elementi che caratterizzano e/o distinguono l’uno e l’altro ambito?

R: Oggi il lavoro in studio spesso si riconduce alla cosiddetta loudness war che coinvolge un po’ tutti gli aspetti della musica, e che tende a far suonare il prodotto molto alto ma in pochissimi dB di dinamica. In realtà il fonico dal vivo fa esattamente l’opposto, cioè cerca la dinamica maggiore, perché è l’unico modo per trasmettere emozioni. Un disco post-prodotto e realizzato oggi, messo su un impianto di amplificazione di oggi, non si può ascoltare se non a bassissimo volume.

La loudness war è proprio questa: cercare di dare il senso della canzone e tirare fuori tutti i piani sonori a volumi bassissimi, e per fare questo la dinamica deve essere schiacciata a livelli maniacali. Leggevo ultimamente che si combatte sugli 0,1 dB [ride] perché il lavoro dello studio oggi è diventato questo: se suona più forte in radio, è più figo. Arriveremo ad un certo punto che non ci saranno più dB da tirare fuori, come per le note musicali: non ci sono più idee musicali perché le abbiamo sfruttate tutte, ed auspico che alla fine si tornerà indietro.

D: Set Me Live! è la serie di masterclass organizzate da Audiogrill Audio Technology School e dedicate ai professionisti del live. Quanto è importante la formazione per chi si approccia al tuo mestiere?

R: Per quanto riguarda la formazione che fa Audiogrill io la trovo fondamentale. Come ho detto a Carlo quando mi ha contattato per l’appuntamento del 14 marzo, magari l’avessi avuta io un’opportunità così quando ho cominciato! Avere la possibilità di interfacciarsi con persone che hanno molta più esperienza di te accelera di molto i tempi della tua crescita professionale. Naturalmente devi essere uno “sveglio”, perché le opportunità consistono sempre in lezioni di un paio d’ore, tre al massimo e devi essere veloce a recepire il bagaglio che ti viene trasmesso da chi ha avuto più fortuna ed ha fatto più strada di te.

D: Un’ultima domanda che è soprattutto una curiosità: preferisci essere chiamato fonico o tecnicoingegnere del suono?

R: Tecnico del suono è un po’ generico, fonico… [esita]… A me piace ingegnere del suono perché riassume bene il tuo lavoro in quanto, anche se non sei un ingegnere con laurea, tutto quello che fai è un lavoro di ingegneria. Se tu riesci a far sentire bene a 80 mila persone senza che si lamentino, perché quando sentono male succede una guerra civile…lo capisci!, Se tu fai questo, hai fatto un gran lavoro di ingegno, quindi è giusto essere chiamato ingegnere del suono.

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