Julia roberts con il walkman in vasca da bagno

Buon compleanno Walkman

Qualche giorno fa il walkman ha festeggiato 40 anni. Uno dei suoi slogan pubblicitari più celebri diceva: sarà la colonna sonora della tua vita, e per molti di noi le cose sono andate proprio così. Infatti, non appena furono commercializzati i primi modelli a prezzi abbordabili, l’euforia di portarci appresso la nostra musica registrata sulle nostre audiocassette, ci travolse in pieno.

Anche se le statistiche dell’epoca li descrivono come il supporto di vendita più diffuso, la maggior parte dei nastri in circolazione non era originale. Li compravamo taroccati per poche migliaia di lire sulle bancarelle ai mercatini (cosa impensabile per un LP) oppure li duplicavamo tra amici. Ma la pratica più diffusa, nonché il rituale più affascinante, era registrare sulle cassette le nostre compilation personali. Passavamo interi pomeriggi attaccati ai mastodontici stereo di famiglia per tirare giù dai vinili le nostre canzoni preferite. Oppure le prendevamo al volo dalla radio, pregando che lo speaker tacesse fino alla fine.

Quelle compilation raccontavano tutto dell’autore. In tribunale sarebbero valse più di qualunque testimonianza giurata. Io devo averne registrata qualche decina: molte le ho regalate, altre non sono sopravvissute ai vari cambi di residenza, molte altre saranno ancora in qualche scatola in soffitta dai miei. Credo che, se dovessi pescarne una a caso, sarebbe fatta più o meno così.

1. L’Y10 bordeaux – Daniele Silvestri (4:34)

Questa canzone è la trasposizione nella chiave musicale più semplice che si possa immaginare della spaccatura generata da una delle tragedie tipiche dell’età puberale. Quando una ragazza ti molla, il ritmo delle tue giornate è diviso in due: da una parte i tuoi amici sanno sempre cosa dire per tirarti su, e dall’altra tu, sicuramente più realista, la prendi in maniera un po’ distorta. Daniele Silvestri per me ha rappresentato quel tipo di personaggio che, anche se non l’hai mai nemmeno incontrato, ti sembra di conoscere personalmente. Potrei dire che è stato il mio migliore amico per anni, ci saremo bevuti mille birre insieme. Ancora oggi per me è un cantautore sempre in linea con i miei pensieri.

L’Y10 bordò ascoltata in cuffia mi faceva sentire compreso, il che, per un adolescente degli anni ’90 non era cosa da poco.

2. I Get Around – The Beach Boys (2:08)

I miei coetanei mi guardavano un po’ perplessi, erano gli anni della dance di La Bouche e Corona, ma per me, senza i Beach Boys non poteva iniziare l’estate in spiaggia. Quella partenza in quarta, con il ritornello prima della strofa, metteva il turbo alla mia immaginazione: il parcheggio del lido spiaggia d’oro diventava un drive-in e le mille Punto by Giugiaro in fila per il parcheggio, una parata di hot rod.  Come arrivavo a stendere l’asciugamano sulla sabbia schiacciavo play e per due minuti, in quel tratto di riviera ligure, l’estate sarebbe durata in eterno, come in California.

I miei pensieri erano ambiziosi, tutti i bagnanti facevano parte della mia personale coreografia, specialmente le ragazze in bikini.

3. Addicted to Love – Robert Palmer (3:55)

L’avrò ascoltata un milione di volte, la maggior parte di seguito. E’ uno di quei brani che, anche se oggi non saprei spiegare il motivo, mi ha sempre trascinato in delle zone molto allegre.  Aveva la capacità di caricarmi come una molla. In realtà, di quella canzone mi affascinava molto anche il videoclip. Forse perché la band di sole donne che accompagnava Robert Palmer, tutte in minigonna nera e rossetto scarlatto, fingeva clamorosamente di suonare. A pensarci bene, anche Robert Palmer in quel video  fingeva di cantare:  l’appeal di quel video non doveva dipendeva dal playback.

Ancora oggi, se ci inciampo in radio, alzo il volume.

4. Kiss – Prince (3:56)

Una canzone spettacolare, che gira intorno a tre ingredienti fondamentali. Il riff: quel tagadadagdadagà della chitarra che annuncia ogni Kiss dovrebbe essere tutelato come patrimonio dell’umanità. Il testo: infonde la speranza di piacere ad un principe (o, nel mio caso una principessa) anche se non sei né rich, né cool (naturalmente Prince era entrambe le cose). Il falsetto: unico ed inimitabile. Qualunque band voglia cimentarsi in una sua cover accetta più o meno inconsapevolmente di sfidare il ridicolo. Simpaticissima la  versione di Julia Roberts in Pretty Woman, che la canta stonatissima in vasca da bagno con il walkman Sony sparato nelle orecchie.

Nonostante sia datata, spinge comunque a ballare, in cuffia o in pista.

5. For Once in My Life – Stevie Wonder (2:54)

A pensarci bene, anche questa canzone (e un po’ tutta la produzione Motown di Stevie Wonder) gira intorno a tre punti di forza. Il basso di  James Jamerson: nonostante il manico del suo Fender fosse storto e praticamente insuonabile, almeno così pare dicessero i suoi colleghi, quando comincia a pizzicare, per me è impossibile rimanere fermo. Chissà quante volte mi avranno preso per pazzo mentre faccio air drum sui suoi giri, ma che importa? Il clavinet: a quella specie di piccolo piano elettrico dal suono frizzante ed un po’ aspro, sono affidati alcuni dei fraseggi più ammiccanti della musica degli anni ’70. Ti rapiscono irresistibilmente. L’energia visionaria di Stevie Wonder. La forza dei suoi pensieri è immensa: senza averlo mai visto, riesce a descrivere il mondo nei più piccoli dettagli. Li percepisci anche se non capisci una parola del testo perché non sai l’inglese. Questa canzone in particolare è il manifesto perfetto dell’essere innamorati.

Sai quando esci con la ragazza che ti piace e a fine serata vi baciate? Ti dimentichi che hai la macchina e torni a casa a piedi per dieci kilometri con in testa questo gran pezzo.

6. Everlong – Foo Fighters (4:10)

Questo pezzo è la firma della dichiarazione di indipendenza di Dave Grohl dai Nirvana, o da quello che ne rimaneva. Dopo tre anni di vagabondaggio artistico, il batterista del gruppo più famoso dei primi anni ’90 decide di fare sul serio: mette su una vera band, come frontman. Naturalmente la cosa non poteva lasciarmi indifferente. Io, come molti gli avevo dato una possibilità, ma ero un po’ scettico. Pensavo che avremmo comprato tutti il primo disco soprattutto in memoria di Kurt Cobain: title-track orecchiabile ed una decina brani  buttati lì per riempire. Invece ci sorprende con un lavoro eccezionale ed una delle canzoni più belle della storia del rock: la chitarra accordata in SI, la batteria che fa faville, la voce che spacca i vetri.

Fai a pugni una sera e torni sanguinante a casa fiero con questa nelle orecchie.

7. Enter Sandman – Metallica (5:37)

A questa canzone sono particolarmente affezionato: è la prima cover fatta con la mia prima band. Il Black Album del 1991 ebbe un successo clamoroso e forse proprio per questo i fan sfegatati storsero il naso. In realtà, tutti i dischi dei Metallica sono stati delle hit mondiali, ma questo lo ritennero troppo commerciale. Poca roba in confronto alle critiche per i successivi Load e Reload, ma questa è un’altra storia. Enter Sandman ha un testo sincronizzato alla perfezione, premia il gusto di tutti i musicisti della band, soprattutto della batteria di Lars Ulrich. Un mio amico fonico mi ha detto che in questo disco per la prima volta i Metallica hanno registrato suonando tutti insieme. Forse per questo ha un tiro pazzesco, mai sentito prima.

Hai litigato col vicino e vuoi andare in casa sua a sistemare delle trappole mentre dorme? La colonna sonora perfetta, ovviamente in cuffia, è questa.

Leggi anche: Tempi dispari, sincopati

8. When I’m Down – Chris Cornell (4:20)

Avevo quindici anni e questa era la canzone che mi sembrava dire: sì, hai ragione, tutto il mondo ce l’ha con te. Mi fece effetto subito, ma ascolto dopo ascolto mi sembrava di sentire sempre più intensamente la sofferenza unita alla melodia di questo genio del rock. A quei tempi, se volevi ascoltare un brano che registrato a metà della tua compilation, dovevi mandare avanti veloce, e poi indietro, e poi ancora avanti ed indietro, alternando sapientemente la pressione sui tasti FFWD e REW, fino a trovare l’attacco esatto. Diventavi una specie di prestigiatore su sviluppavi l’arte della pazienza. Grazie anche a questo, oggi posso dire che per apprezzare davvero il cantato ed il fenomenale assolo di chitarra di questa canzone, occorre calma: ti ci devi accostare con passione contemplativa. When I’m Down si ascolta da soli, prendendo le distanze dalle emozioni e dalle attività della giornata: non puoi metterla come sottofondo per una cena romantica o in una playlist da ascoltare mentre cerchi di lavorare al tuo blog, sarebbe un errore.

Se invece ti stai sporgendo su un dirupo per osservare un puma che insegue una preda, quello è il momento giusto per ascoltarla.

9. Try a Little Tenderness – The Commitments (4:36)

L’originale vola subito via, leggera come una piuma. Invece la versione dei Commitments, che preferisco, è una lunga favola soul che inizia piano, cresce, combatte, vince e alla fine crolla esausta. A questi quattro minuti e mezzo di abbondante energia e sentimento devo alcune delle mie peggiori figure in pubblico. Infatti quando ce l’avevo in cuffia proprio non riuscivo a tenere la bocca chiusa…Don’t squeeze her, never leave her, got to hold her… 

Una canzone straordinaria, una delle poche cover migliore dell’originale.

10. (Sittin’ on) the Dock of the Bay – Otis Redding (2:38)

Questa è una delle prime canzoni che si impara a suonare con la chitarra. Per me è stata la prima in assoluto. Mi faceva sentire un po’ gasato perché finalmente vedevo la successione degli accordi mentre la ascoltavo e riascoltavo in cuffia. E’ uno di quei brani che ha fatto il giro di tutte le chitarre del mondo. Forse il vero segreto della sua forza è che non segue la solita progressione armonica: niente minori, è una bella sfilza di accordi tutti maggiori che sanno di spensieratezza, di mare, di fiume.

Se dovessi raccontare la mia vita in tre minuti, vorrei questa come colonna sonora.

Il lato B

La principale scocciatura delle cassette era che, quando finivano le canzoni, prima di girarle dall’altro lato, dovevi far scorrere tutto il nastro, fino alla fine.  Spesso, per non consumare le preziosissime batterie, lo facevamo a mano, con una bic. Ricordo ancora il compiacimento del perfect mach fra la sua sezione esagonale e la dentellatura del rocchetto su cui si avvolgeva la bobina. Tutti abbiamo pensato, almeno una volta, che la cosa non fosse casuale. Oggi invece le canzoni non finiscono mai, non ci sono più cassette da girare, batterie da consumare, nastri da avvolgere. A pensarci bene, anche le bic sono diventate merce rara.


Photo credit: Julia Roberts nel film Pretty Woman © 1990 Warner Bros

Dario Benedetto – Puoi  visitare il mio sito qui: dariobenedetto.com – il sito da leggere a tutto volume